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  • A Natale in Paradiso

  • È morto Jean Claude, un clochard felice

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  • “Sono felice qui”,

  • così rispose pochi giorni or sono Jean Claude prendendo il caffè insieme al suo parroco, Don Paolo Arzani, che lo aveva tirato via dalla strada e lo stava ospitando

  • da diverso tempo in canonica.

  • Indipendente, francese, colto, arguto e furbino,  

  • aveva scelto la via della strada,

  • la libertà assoluta da tutto e da tutti.

  • Ma tutti lo conoscevano,

  • qui nel quartiere di S. Lucia sul Prato,

  • vicino alla Stazione, alle Cascine, all’Arno.

  • In questo pezzo di mondo viveva  di elemosina,

  • fermo sempre nello stesso posto, senza nulla chiedere,

  • ma sperando solo un aiuto, desiderando scambiare quattro chiacchiere con coloro che ormai lo conoscevano da anni.

  • Don Paolo era riuscito, facendolo sorridere,

  • a renderlo più  presentabile

  • e ultimamente si era persino tagliato la barba e i capelli lunghi e incolti:

  •  una concessione alla “civiltà”.

  • Se ne è andato senza fare rumore,

  • per un malessere quasi improvviso,

  • dopo che il vino – amico distruttore abituale –

  • gli aveva corroso lo stomaco.

  • Ecco un pezzo di Firenze,

  • una persona che faceva parte del paesaggio,

  • una vita, un uomo che ci è passato accanto,

  • ignorato dai più,

  • ma anche amato

  • da coloro che lo hanno seguito e accolto.

  • Stanno cercando notizie sicure

  • sui suoi percorsi di vita,

  • sulla sua identità.

  • Ma una cosa è certa: il suo è il volto di Cristo.

  • Mariapia Arzani

  • (pubblicato su La Nazione il 30-12-2015)

Le foto di un amico

Maurizio Berlincioni fotografo

Firenze, addio a Jean Claude,

clochard misterioso

Maria Cristina Carratù

Repubblica Firenze 15-06-2017

 

La parrocchia di Santa Lucia sul Prato lo aveva accolto senza sapere nulla della sua identità e del suo passato. Lunedì i funerali, a due anni di distanza dalla morte Quando si sono incontrati era l’inverno del 2008, giornate freddissime. Lui era un involto informe steso sul marciapiede, poi, per pietà di un ristoratore, sulle assi di un dehors. Ma la notte era sottozero, e la mattina non si sapeva se il fagotto si sarebbe risvegliato.

Don Paolo lo vide e gli disse «vieni via, ho un posto da me», lui lo seguì dentro l’oratorio della chiesa di Santa Lucia, poi in una stanza dentro casa. Che fosse di poche parole don Arzani se n’era accorto subito, ma andava bene così, cosa doveva dire, del resto, che già non si vedesse , e di sé, comunque, fu subito chiaro che Jean Claude non avrebbe mai parlato.

Tanto che adesso che c’è il suo funerale (lunedì 19 giugno, nella chiesa di Santa Lucia sul Prato, alle ore 10,30), di lui si potrà dire soltanto che si chiamava Jean Claude, e chissà se anche questo era vero, e comunque neanche questo era i mportante, visto quello che Jean Claude è stato per chi lo ha conosciuto, e che conta se un nome è inventato, o registrato a un’anagrafe. Jean Claude si è porta to via il segreto della sua identità fra il 29 e il 30 dicembre del 2015, sul cr inale dell’anno, che è stato il crinale anche suo. Il mal di stomaco dopo cena, e quel tonfo in piena notte. Don Paolo lo trova riverso per terra, con la testa nel vomito.

Jean Claude viveva ormai da anni con gli Arzani, il prete, la mamma e la sorella del prete, uno di casa, ma anche uno di casa solo con se stesso. La polizia, quella notte, ha dovuto prendergli le impronte digitali, perché di lui si sapeva che parlava con un forte accento francese, adorava i libri di storia, si interessava di politica e ammirava Nicolas Sarkozy, e pochissimo altro.

Di sicuro non aveva mai avuto un documento in vita sua, e siccome non aveva mai fatto nulla di male e non era mai entrato in un casellario giudiziario, nemmeno le autorità sape vano chi fosse davvero.

È il paradosso dei tempi, per essere qualcuno devi esser e almeno un po’ un farabutto, altrimenti la società ti depenna, e quando ti incontra arretra diffidente, tant’è che ormai di una persona nessuno sa più farsi un ’idea guardandola negli occhi, come invece don Paolo ha fatto quando lo ha visto la prima volta, e ha deciso di prenderlo con sé, con i suoi capelli lunghi, la sua età indefinita (65, 68, 70 anni?), i suoi vestiti puzzolenti. O quando lo ha beccato di notte col Tavernello in mano, e senza una parola si è messo l’indice all’occhio, come a dire: «Ti ho visto, sai», con Jean Claude che anche lui ha r isposto col dito, come a dire: «Grazie, amico». Grazie che non mi giudichi, non mi chiedi niente, come io desidero.

Quando si dice l’incontro gratuito, senza condizioni, senza ruoli a priori: «Dover fare per forza il-prete-che-accoglie», dice don Paolo, «spesso falsa un rapporto, crea un bisognoso dipendente, anziché una persona con cui stare alla pari». Pericolo scampato: «Del resto, Jean Claude diceva sempre: sono così perché l’ho scelto», fatevene una ragione e chiuso lì.

Così, lunedì a messa, durante il funerale per l’amico ritornato — davanti alla sua salma finalmente rientrata a Santa Lucia da quella notte lontana, bloccata per un anno e mezzo a medicina legale per via delle indagini sulla ‘vera’ identità del clochard ‘francese’, «a quanto so rimaste senza esito » — don Paolo lo chiamerà come sempre soltanto Jean Claude.

E sarà più che sufficiente, perché la verità è che al barbone che se ne stava in piedi per ore all’angolo con Borgo Ognissanti, con in mano un libro, senza chiedere mai niente a nessuno, tutto il quartiere ha voluto bene. Lui non chiedeva, e loro davano: soldi, da mangiare, chiacchiere, vestiti che poi non si metteva.

«Ha lasciato un vuoto, anche in questa ca sa», dice don Paolo, che gli aveva dato piena libertà, ripagato da Jean Claude con i gesti suoi tipici, silenti, nascosti, e gravidi di intesa: «Non ha quasi mai mangiato con noi, ma sapeva di poterlo fare e diceva che era contento così, detestava gli orari, ma non ha mai perso un incontro biblico, non faceva mai un segno di croce, però alla messa c’era sempre, in ultima fila».

«Sono felice, qui», aveva detto pochi giorni prima di andarsene, davanti a un caffè. C’è altro, che possano aggiungere un’anagrafe, un timbro su un pezzo di carta?

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